Nuovo ciclo di inchieste, a cura di Stella Pende: nel primo appuntamento, un ampio reportage racconta i bambini tornati in Ucraina, dei 19.546 sottratti alle famiglie dall’inizio dell’occupazione Russa.
Da sabato 13 dicembre, in seconda serata, su Retequattro, al via la 16esima edizione di «Confessione Reporter». Il nuovo ciclo di inchieste, quattro appuntamenti firmati Stella Pende, è dedicato ai bambini ucraini rapiti dalle milizie russe, a Carlo Acutis e ai nuovi cristiani, al dramma di chi è rimasto a Gaza e di chi l’ha lasciata, e al mondo del porno e gli adolescenti, tra dipendenze e porn deepfake.
«La prima puntata è dedicata a tutti i bambini della guerra. Creature che hanno perso la vita e l’infanzia a causa di guerre sciagurate, che gli adulti continuano a volere».
In particolare, racconta la giornalista, «parliamo dei bambini ucraini sottratti a genitori e famiglie dalla Federazione Russa. Dall’inizio dell’invasione, nel 2022, sarebbero 19.546 i bambini sfollati, orfani o letteralmente strappati dalla proprie case, buttati negli orfanotrofi russi o, peggio ancora, affidati o adottati dagli sgherri di Putin. E sono solo 1.345, quelli restituiti a mamme e nonne».
Per raccontare, vedere e scoprire cosa è successo, CR si è recata nell’Ucraina della guerra e ha incontrato famiglie, donne e uomini dei servizi, responsabili «di questa mission impossible, le fantomatiche operazioni di rientro. I bambini che hanno avuto la forza di tornare - prosegue Pende - sono piccoli santi, ma gli eroi di questa storia sono coloro che li hanno trovati, salvati e protetti, uomini e donne con vite normali che sono dovuti diventare guerrieri impavidi. Nonni e nonne che, perduti i figli, si sono votati alla missione di ritrovare i nipoti. Come Natalia, che attraversa tre paesi, non si sa come, ma alla fine ritrova il piccolo Sacha».
Volodymyr, direttore dell’orfanotrofio di Kherson, «città ferocemente occupata dai russi, nasconde 52 bambini in cantine e chiese, falsificando in una notte i loro documenti. E li salva. Per ascoltarlo - conclude l’inviata Mediaset - abbiamo scelto una sala concerti chiusa, dove le sedie vuote raccontano l’assenza dei bambini, e il palcoscenico, una volta luogo di musiche, dice il buio di queste deportazioni orrende. Questo uomo è simbolo di dramma, ma anche di resilienza. Ed è proprio lui, la memoria di ciò che è stato rubato».
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