La politica, da filosofia a marketing del potere

 


La politica, da filosofia a marketing del potere

Dal pensiero al consenso: come le lobby e la comunicazione hanno cambiato il volto della democrazia

Un tempo, la politica era pensiero. Non semplice gestione del potere, ma esercizio filosofico e civile. Figure come Aldo Moro, Enrico Berlinguer e Sandro Pertini — pur con visioni diverse — incarnavano una politica che si nutriva di ideali, valori e di una visione etica della società. Fare politica significava interrogarsi sul bene comune, educare e guidare una comunità.

Platone, nella sua “Repubblica”, immaginava il governante ideale come un “filosofo-re”, colui che sa pensare prima di agire, che cerca la verità prima del consenso. Per lui, la politica era l’arte di governare secondo giustizia, non secondo convenienza. Oggi lo scenario appare capovolto. Il politico non è più un pensatore, ma un manager del consenso. Il linguaggio stesso tradisce la metamorfosi: non si parla più di ideali, ma di “target”, “narrativa”, “immagine” e “brand personale”. La filosofia lascia spazio alla strategia, e la furbizia prende il posto della riflessione.

Antonio Gramsci parlava di “egemonia culturale” come strumento per orientare la società attraverso il pensiero.

Non è un segreto che molte scelte siano condizionate da lobby economiche. Le pressioni di grandi interessi, legittimi o meno, finiscono per orientare decisioni pubbliche, generando un cortocircuito: i cittadini si sentono esclusi, cresce la sfiducia nelle istituzioni e la politica appare distante, se non ostile dove l’egemonia è mediatica, algoritmica, costruita a colpi di tweet e spot elettorali.

Le conseguenze di questa deriva

·       Disuguaglianze crescenti: le politiche finiscono spesso per favorire chi già possiede potere e risorse.

·       Disaffezione civica: sempre meno persone votano o partecipano alla vita politica.

·       Polarizzazione: il dibattito pubblico si riduce a slogan e tifoserie contrapposte.

Come diceva Norberto Bobbio, “la democrazia non è un punto di arrivo, ma un processo continuo”. E se quel processo si interrompe, ciò che resta è solo la forma, svuotata di sostanza.

C’è ancora spazio per la vera politica?

Non tutto è perduto. Esistono ancora politici che si battono per valori autentici, movimenti dal basso che rivendicano giustizia sociale, cittadini che chiedono etica e visione. La sfida del nostro tempo è ricostruire un ponte tra pensiero e azione, tra filosofia ed esercizio del potere.

Il popolo, stanco di bugie costruite ad arte, chiede un ritorno alla serietà della politica. Perché la furbizia può regalare consenso nell’immediato, ma a lungo andare produce soltanto una democrazia apparente, fragile e priva di sostanza.

Come ammoniva Hannah Arendt, “la politica nasce tra gli uomini, e si realizza nel dialogo”. È tempo di tornare a dialogare, pensare, scegliere. Non per vendere un’idea, ma per costruire una società.

 

25 settembre 2025 – Giuliano Martini Ascalone


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