Mirco Goldoni: l’ingegnere che gioca con le stelle per raccontare gli uomini
C’è una fantascienza che inventa marziani. E ce n’è un’altra – più rara – che interroga l’uomo. Mirco Goldoni, classe 1965, bolognese di nascita e modenese d’adozione, appartiene senza dubbio alla seconda categoria. Ingegnere informatico per mestiere, volontario della Protezione Civile per vocazione, e scrittore per necessità interiore, ha scelto la narrativa fantascientifica come campo di battaglia per una sfida stimolante: quella contro l’oblio, la paura e l’indifferenza.
Scrive romanzi, sì. Ma soprattutto scrive domande. E lo fa con una penna sorvegliata, che non cede mai all’enfasi né al tecnicismo. Nei suoi libri non ci troverete elenchi di astronavi, né formule esoteriche. Ci troverete invece uomini – vivi, imperfetti, spaesati – che cercano un posto nel mondo. Quale mondo? Quello del futuro, certamente. Ma un futuro che assomiglia terribilmente a questo nostro presente.
La trilogia della memoria
I titoli sono sobri, quasi ingegneristici: Progetto Mnemòsyne, Progetto Dedalo, L’era dei Badb. Tre romanzi pubblicati tra il 2020 e il 2023, ma che si leggono come un’unica lunga meditazione sul tempo, sulla memoria, e su quella strana creatura chiamata coscienza.
In Mnemòsyne, il primo atto, si racconta di Frank Torricelli – giovane italoamericano – arruolato in un esperimento a metà tra la scienza e la follia: accedere alla memoria universale. Non è un’idea nuova, eppure Goldoni riesce a renderla necessaria. Perché in quel passato collettivo ci sono colpe, traumi e forse anche salvezze. E perché in fin dei conti, il vero esperimento non è tecnologico, ma umano.
Il seguito, Progetto Dedalo, spinge il lettore più in profondità. Scompaiono i mentori, entrano in scena le conseguenze. E con esse, domande che valgono più di mille viaggi spaziali: "Dove finisce ciò che ricordiamo? Cosa resta di noi quando dimentichiamo? Come possiamo pretendere di giudicare se non abbiamo vissuto quel ricordo?"
Infine, L’era dei Badb cambia rotta – almeno in apparenza. Qui la Terra è in rovina, i governi si sono arresi, e gli alieni sono in arrivo. Ma non aspettatevi guerre stellari: ciò che conta è il dopo. Dopo l’invasione, dopo il crollo, dopo che l’uomo si scopre nudo davanti alla propria storia. Un impiegato del Dipartimento della Guerra – un burocrate qualunque – si ritrova a fare i conti con un segreto che potrebbe riscrivere tutto. Anche se, come spesso accade, nessuno ha voglia di ascoltarlo.
Fantascienza? Sì, ma senza lustrini
Goldoni non scrive per piacere agli appassionati di "genere". Non corteggia le classifiche, non rincorre mode. Ha una prosa disciplinata, mai urlata. E un’idea molto precisa: la fantascienza, se non serve a capire meglio l’uomo, non serve a nulla.
Non a caso, i suoi maestri dichiarati si chiamano Asimov, Dick, Buzzati, e Calvino. Autori che usavano il paradosso, il futuro o il fantastico per parlare dell’oggi. E che, come lui, sapevano che ogni buona storia è, in fondo, una confessione mascherata.
Nei suoi libri, la tecnologia è strumento, non feticcio. Serve a scavare, non a stupire. E le ambientazioni – Africa, Boston, basi segrete, pianeti lontani – sono solo scenografie dietro cui si consuma un dramma interiore: quello di uomini che vorrebbero capire, e donne che hanno capito troppo.
Il merito di non semplificare
C’è un coraggio raro nel non semplificare. Nel non cedere alla tentazione di chiudere ogni frase con una morale, ogni storia con una lezione. Goldoni non offre certezze. Offre dubbi. Ma lo fa con una lucidità tale da rendere quei dubbi indispensabili.
Si potrebbe dire che i suoi libri sono romanzi d’idee travestiti da avventure. E forse è proprio questo il loro punto di forza: ci fanno viaggiare, sì, ma per tornare dove siamo partiti. Dentro noi stessi.
E domani?
L’autore ha annunciato un terzo capitolo per completare la trilogia dei "Progetti". Forse sarà l’ultimo. Forse no. In ogni caso, ciò che conta non è tanto la trama che si concluderà, quanto le domande che continueranno a vivere nel lettore.
Goldoni non è uno scrittore da salotto. È un artigiano della parola, che lavora in silenzio. Ma in quel silenzio si sente il rumore del pensiero. E questo, oggi, vale più di mille urla.
"Il futuro? Una scusa come un’altra per parlare di ciò che ci rifiutiamo di vedere nel presente. E Goldoni lo ha capito bene".
Intervista a Mirco Goldoni – "Scrivere per ricordare l’umano"
D. Lei è ingegnere informatico, volontario della Protezione Civile e scrittore di fantascienza. Come convivono questi tre "sé" così diversi?
R. In realtà non sono così distanti. L’ingegnere cerca risposte concrete, il volontario cerca di aiutare in mezzo al caos, lo scrittore cerca senso. Sono tre modi di reagire al disordine, ciascuno con i suoi strumenti. La scrittura, però, è quella che scava più a fondo.
D. Ha costruito una duologia – Progetto Mnemòsyne e Progetto Dedalo, poi L’era dei Badb – sono davvero distaccati o esiste un filo conduttore?
R. Il filo conduttore sono sempre le paure, le incertezze e le contraddizioni dell’Uomo. Dopo i primi due ‘Progetti’ ho sentito il bisogno di lasciare tempo ai protagonisti di maturare e lasciar decantare le loro scoperte. Quindi mi sono lanciato in un lontano futuro e ho trovato le stesse problematiche. Perché la storia è una grande maestra, ma l’Uomo non è un altrettanto valido studente. Credo che la memoria sia il vero campo di battaglia del nostro tempo. Non solo quella storica, ma quella individuale, affettiva, culturale. Chi controlla il ricordo, controlla il futuro. E spesso siamo i primi a dimenticare noi stessi.
D. Nei suoi romanzi c’è fantascienza, ma anche molta psicologia. Pensa che il genere debba sempre toccare l’interiorità?
R. Assolutamente sì. La fantascienza migliore non parla di alieni, ma di alienazione. Le astronavi, i mondi lontani, sono scenografie. Il vero centro è l’uomo. Altrimenti stiamo solo giocando coi fuochi d’artificio.
D. Ne L’era dei Badb, descrive un’umanità piegata da collasso climatico, sovrappopolazione e invasione aliena. È una metafora del presente?
R. Certo. Non scrivo profezie, scrivo diagnosi. I Badb sono ciò che ci minaccia da dentro, prima che da fuori: la paura dell’altro, il rifiuto del limite, il rimosso collettivo. È un romanzo apocalittico, ma l’apocalisse è sempre un modo per dire: "Qualcosa dev’essere rivisto".
D. I suoi personaggi sembrano spesso più confusi che coraggiosi. Non crede che oggi il lettore cerchi eroi?
R. Forse. Ma io non scrivo per rassicurare. Preferisco raccontare l’umanità così com’è: fragile, piena di dubbi, ma con una scintilla dentro. Non amo i superuomini, amo chi cade e si rialza, magari senza sapere perché.
D. C’è molto della sua formazione scientifica nei romanzi. Come si conciliano logica e immaginazione nella scrittura?
R. La logica ti aiuta a costruire un mondo credibile. L’immaginazione lo rende vivo. Non sono in conflitto, si completano. Scrivere è un atto di progettazione emotiva: devi sapere come funziona un’idea, ma anche che effetto avrà sul lettore.
D. Cosa legge uno scrittore di fantascienza come lei?
R. Leggo molto di tutto, ma i pilastri restano Asimov, Dick, Buzzati, Calvino. Autori che hanno usato l’immaginazione per dire cose molto vere. E poi saggistica, filosofia, fisica teorica. La realtà è il miglior carburante per la fantasia.
D. Cosa pensa dello stato attuale della fantascienza in Italia?
R. C’è un movimento vitale, ma ancora poco riconosciuto. Si fatica a uscire dal recinto del “genere di nicchia”. Però la fantascienza è cultura, non intrattenimento di serie B. È una lente per guardare in faccia le domande che ci fanno paura.
D. Sta già lavorando a un nuovo libro?
R. Sì. Sto chiudendo il terzo capitolo della saga iniziata con Mnemòsyne. Sarà il punto d’arrivo, ma anche un nuovo inizio. E poi ho in mente un romanzo breve, ma sempre fedele a quella domanda che mi accompagna da sempre: "Cosa resta dell’uomo quando tutto il resto cade?"
D. Di recente ha ricevuto un riconoscimento emozionante…
R. Sì, al Salone del libro di Torino è stato proiettato un cortometraggio tratto dal mio racconto ‘Ick-Ack-Ock l’ultima scommessa’ è stato da brividi. Vedere le tue idee proiettate e interpretate da attori è stato a dir poco toccante.
In un’epoca che corre veloce, dove l’informazione si consuma e l’identità si dissolve nella nuvola digitale, la narrativa di Mirco Goldoni ci costringe a rallentare. I suoi romanzi non inseguono il futuro: lo interrogano. E nel farlo, scavano dentro le paure, le memorie, le possibilità dell’essere umano. La fantascienza, per lui, non è fuga dalla realtà, ma ritorno amplificato ad essa. Un modo per guardare l’oggi da un’altra angolazione, con la lucidità di chi sa che il vero mistero non è nel profondo dello spazio, ma nel profondo animo di chi si interroga.
Scrivere, in fondo, è un atto di resistenza contro l’oblio. E Goldoni, con la sua penna sobria e inquieta, resiste. Non per nostalgia del passato, ma per difendere il diritto di ricordare chi siamo stati. E forse, un giorno, di scegliere davvero chi vorremo diventare.