Referendum e Democrazia Tradita: tra
Propaganda, Ignoranza e Menefreghismo
Il recente referendum, con i suoi
cinque quesiti, avrebbe dovuto rappresentare un momento alto di democrazia
partecipativa, un'opportunità per il popolo sovrano di esprimere la propria
volontà su temi fondamentali. E invece, ancora una volta, ci siamo trovati di
fronte a un quadro sconfortante e profondamente allarmante per la salute
democratica del nostro Paese.
Ciò che è apparso evidente – e
francamente inaccettabile – è stata l’ingerenza palese dei partiti e, peggio
ancora, l’intervento diretto del governo e delle istituzioni, che in più
occasioni hanno esplicitamente o velatamente invitato i cittadini a disertare
le urne. Un invito che mina uno dei principi cardine della nostra Costituzione:
il diritto e il dovere di voto come massima espressione della sovranità
popolare.
Questa strategia dell’astensione,
volta a rendere nullo il referendum per mancanza di quorum, non è una novità
nella storia politica italiana. Già in passato, governi e gruppi di potere
hanno sfruttato la disinformazione e la demotivazione dei cittadini per
influenzare gli esiti elettorali. La progressiva perdita di fiducia nelle
istituzioni e il senso di impotenza che molti cittadini provano di fronte alla
politica alimentano questa spirale di disimpegno, fino ad arrivare al paradosso
attuale: un popolo che viene scoraggiato dall’esercitare il proprio diritto
fondamentale.
Quando chi dovrebbe tutelare il
processo democratico ne scoraggia l’esercizio, ci troviamo di fronte a una
pericolosa deriva istituzionale. Eppure, per quanto questa azione sia stata
grave e meriti ampia condanna, non è stata la cosa che mi ha più impressionato.
Quello che davvero colpisce – e
ferisce – è l’atteggiamento di gran parte del popolo italiano: un popolo che ha
dimostrato una preoccupante ignoranza civica, una quasi totale mancanza di
consapevolezza del valore del voto, e una latitanza assoluta del senso civico.
Se l’educazione civica fosse davvero presente nella nostra formazione, se fosse
stata insegnata e interiorizzata fin dai banchi di scuola, nessuno si sarebbe
lasciato condizionare dalla propaganda, né da una parte né dall’altra.
Secondo un’indagine del Censis, il
40% degli italiani dichiara di non avere informazioni sufficienti per
comprendere le istituzioni democratiche, e il 60% non è in grado di spiegare il
funzionamento del referendum abrogativo.
Questa ignoranza si somma al
menefreghismo dilagante che pervade la società contemporanea. Un’indifferenza
collettiva che si traduce in disimpegno, apatia, rinuncia alla partecipazione,
come se le sorti della cosa pubblica non ci appartenessero. Come se tutto fosse
delegabile ad altri, salvo poi lamentarsi delle scelte prese.
La storia dimostra che le democrazie
non si sgretolano in un giorno, ma lentamente, attraverso l’erosione del
coinvolgimento civico.
Senza voler forzare paragoni, un
esempio emblematico resta quello della Germania degli anni ‘30, quando il
disinteresse e la passività di molte persone hanno permesso l’ascesa di un
regime totalitario. Senza arrivare a scenari così estremi, è chiaro che una
democrazia senza partecipazione è destinata a indebolirsi, lasciando campo
libero a chi ha interesse che nulla cambi oppure ad agire di testa propria.
Ovviamente, non basta denunciare il problema: è fondamentale pensare a soluzioni concrete.
Alcuni passi potrebbero
includere:
· Un rilancio dell’educazione civica nelle scuole, con programmi più approfonditi e coinvolgenti.
· Campagne di sensibilizzazione, anche sui social, per rendere le persone consapevoli dell’importanza del voto e della partecipazione attiva.
· Incentivi alla partecipazione elettorale, come avviene in altri Paesi, dove si sperimentano agevolazioni e iniziative per favorire il voto.
· Più trasparenza e comunicazione dalle istituzioni, per ridurre la sfiducia e far comprendere meglio le decisioni politiche.
I referendum sono uno strumento
prezioso che permette al popolo di contare, di incidere. Quando non
partecipiamo, lasciamo campo libero a chi ha interessi o fini trasversali. La
democrazia non muore con un colpo di stato, ma si spegne lentamente nel silenzio
e nell’inerzia di chi rinuncia ad essere cittadino attivo.
E come se non bastasse, dopo la
chiusura dei seggi, con la mancata validità del referendum per insufficienza di
quorum, tutti – partiti, governo, istituzioni – hanno cantato vittoria.
Ciascuno rivendicando un tornaconto. Una vittoria di Pirro, se non una vera e
propria presa in giro. Tanto rumore per nulla, con un esito scontato fin
dall'inizio, ma che servirà da pretesto a chi è al potere per cambiare le
regole del gioco a proprio favore, rafforzando ulteriormente il controllo e
indebolendo i contrappesi democratici.
Alla fine, pur nella sua
potenzialità, questo referendum è stato reso una farsa: uno strumento svuotato,
manipolato, sfruttato dai più furbi, mentre il popolo – in gran parte
disinformato e passivo – resta spettatore muto.
Ma la democrazia non è questo. È ben
altro.
È conoscenza, partecipazione, senso
del dovere. È confronto vero, consapevolezza, responsabilità collettiva. Senza
questi elementi, qualsiasi strumento democratico – anche il più nobile –
rischia di diventare un teatrino utile solo a chi detiene il potere.
Se vogliamo una società migliore, più
equa e più giusta, il primo passo è assumersi la responsabilità delle proprie
scelte, informarsi, partecipare e non lasciare che il menefreghismo prevalga.
Perché alla fine, la democrazia non è
un privilegio garantito: è una conquista continua, è una lotta da mettere in
atto tutti i giorni, se vogliamo la garanzia della libertà.
11 giugno 2025 – Giuliano Martini
Ascalone