Ma la guerra ha una morale?
La guerra, da sempre, si colloca ai
confini della ragione e della coscienza umana, sospesa tra la necessità storica
e l'assurdità etica. Da secoli i filosofi, i politici e i popoli si interrogano
sul senso della guerra e sulla sua possibile giustificazione morale. Ma esiste
davvero una guerra giusta? E, soprattutto, la guerra può mai avere una morale?
Se guardiamo la storia, vediamo come
il concetto di "guerra giusta" sia stato spesso usato per legittimare
conflitti in nome di principi superiori: la libertà, la difesa della patria, la
religione o la giustizia. Sant'Agostino e Tommaso d'Aquino teorizzarono criteri
per distinguere le guerre legittime da quelle ingiuste, un tentativo di
incasellare la violenza entro schemi morali. Tuttavia, ogni guerra si sporca
inevitabilmente le mani di sangue innocente, e ogni principio etico si scontra
con la brutalità della realtà.
Nella contemporaneità, il concetto di
guerra morale si sgretola di fronte alle immagini di civili massacrati, bambini
uccisi, città rase al suolo. La tecnologia bellica ha reso il conflitto sempre
più asettico e impersonale, trasformando la guerra in un gioco strategico in
cui i comandi vengono impartiti da stanze lontane migliaia di chilometri dal
campo di battaglia. Ma può esserci moralità in un drone che colpisce senza
preavviso? C'è etica in una bomba che uccide indiscriminatamente?
Chi vuole la guerra si può definire
un malato cronico di cretinite acuta? Se osserviamo la storia, vediamo come
molti conflitti siano stati scatenati da chi, in nome di ideologie, potere o
interessi economici, ha sacrificato vite umane senza alcuno scrupolo. La guerra
non è solo un errore politico, ma spesso il frutto di una mentalità ottusa e
distruttiva, incapace di concepire il dialogo come alternativa alla violenza.
La guerra non ha morale, ha solo
conseguenze. E sono sempre gli innocenti a pagarne il prezzo più alto. Le
giustificazioni ideologiche e politiche cadono di fronte alla sofferenza reale
di chi vive il conflitto sulla propria pelle. Se esiste una morale nella
guerra, essa dovrebbe risiedere solo nella sua prevenzione, nel dialogo e nella
diplomazia.
Eppure, l'uomo sembra condannato a
ripetere gli stessi errori, a cercare una ragione laddove esiste solo
distruzione. Forse, più che domandarci se la guerra abbia una morale, dovremmo
chiederci come fare a impedirla. Perché l'unica guerra veramente giusta è
quella che non viene mai combattuta.
La guerra, per sua natura, è un
paradosso. Da un lato, rappresenta l’ennesimo fallimento della diplomazia e
della convivenza civile; dall’altro, in alcune situazioni viene vista come un
mezzo necessario per ristabilire l’ordine e difendere valori fondamentali come
la libertà e la giustizia. Questa duplice faccia solleva la questione morale:
se il fine giustifica i mezzi, o se esistono limiti inaccettabili a qualsiasi
azione, anche in nome di un bene superiore?
Nel corso dei secoli, sono nati
numerosi codici di condotta e trattati internazionali, come le Convenzioni di
Ginevra, che cercano di definire regole condivise per mitigare le sofferenze
durante i conflitti. Questi strumenti giuridici non solo pongono limiti all’uso
della forza, ma evidenziano anche un tentativo collettivo di mantenere una
certa “moralità” anche in situazioni estreme. Tuttavia, la loro efficacia e il
rispetto delle norme variano notevolmente da un conflitto all’altro, lasciando
spazio a riflessioni critiche su cosa significhi realmente “morale” in guerra.
I filosofi hanno da tempo tentato di
interpretare la guerra attraverso lenti etiche. Alcuni sostengono che la
violenza, sebbene distruttiva, possa essere moralmente giustificata quando
serve a proteggere i diritti umani e a prevenire ingiustizie maggiori. Altri,
invece, ritengono che la guerra, per la sua natura incontrollabile e
devastante, sia intrinsecamente immorale, poiché porta con sé la negazione
della dignità umana. Questa tensione tra realismo politico e idealismo etico
continua a essere al centro del dibattito.
Le testimonianze di chi ha vissuto il
conflitto offrono uno spaccato umano e profondamente toccante. Veterani,
rifugiati e civili raccontano storie di dolore e resistenza, evidenziando come,
anche nei momenti più bui, emergano gesti di solidarietà e coraggio. Queste
esperienze dirette mettono in luce la complessità della moralità in guerra: in
mezzo alla distruzione, ci sono atti di umanità che sfidano l’idea di un
conflitto privo di qualsiasi valore etico.
La domanda “Ma la guerra ha una
morale?” rimane aperta, proprio perché la realtà del conflitto è fatta di
sfumature e contraddizioni. Sebbene esistano regole e codici che cercano di
imprimere un ordine morale anche nelle situazioni più caotiche, la natura
stessa della guerra sembra respingere ogni tentativo di riduzione a criteri
semplicistici. La sfida per il futuro risiede proprio nel coltivare una cultura
di pace che, partendo dal riconoscimento degli errori del passato, possa
evitare che la guerra diventi l’unico mezzo per risolvere le controversie.
In definitiva, la guerra, pur non
potendo mai essere definita moralmente positiva, continua a essere teatro di
scelte etiche complesse e poco trasparenti, in cui il giudizio finale dipende
spesso dal punto di vista di chi lo osserva. La riflessione su questo tema è un
invito a non dimenticare mai l’umanità, anche quando ci si trova ad affrontare
le sue espressioni più violente e contraddittorie.
31 marzo 2025 - Giuliano Martini
Ascalone