L'obbedienza cieca senza riflettere: il vero pericolo dell'umanità

 


L'obbedienza cieca senza riflettere: il vero pericolo dell'umanità

 

Nel corso della storia, numerosi eventi tragici hanno avuto origine non tanto dalla natura aggressiva dell’uomo, ma dalla sua spiccata tendenza alla sottomissione. Un’affermazione di Rita Levi Montalcini, oggi più che mai attuale, recita:
“Una delle gravi deficienze dell’uomo non è la super aggressività ma la troppa sottomissione. Le tragedie che hanno veramente, in passato, portato alla distruzione, non di migliaia ma di milioni di individui, non derivano dal fatto che l’uomo è aggressivo ma che l’uomo accetta gli ordini dei dittatori”.

La storia dell'umanità è costellata di episodi in cui la cieca obbedienza ha avuto conseguenze devastanti. Non è l'aggressività il problema principale dell'essere umano, ma la sua propensione alla sottomissione, al conformismo passivo, alla rinuncia al pensiero critico in nome di un’autorità superiore.

Le più grandi tragedie del passato, che hanno portato alla morte di milioni di persone, non sono state causate solo dalla violenza incontrollata di pochi, ma dall'obbedienza servile di molti. Dai campi di sterminio nazisti ai gulag sovietici, dai regimi militari dell'America Latina alle dittature del Medio Oriente, la storia dimostra che gli uomini non si ribellano sempre all'oppressione: spesso la subiscono, la giustificano o addirittura la sostengono.

Il meccanismo è sempre lo stesso: la figura del dittatore si presenta come il salvatore, colui che risolve i problemi e ristabilisce l'ordine. Le masse, spesso impaurite o disorientate, preferiscono affidarsi ciecamente a chi offre soluzioni semplici e immediate, senza interrogarsi sulle conseguenze.

Questa riflessione ci porta a esaminare il meccanismo per cui, in situazioni di autoritarismo, la mancanza di un pensiero critico e l’accettazione incondizionata degli ordini possono condurre a conseguenze devastanti. In molteplici contesti storici, regimi dittatoriali hanno saputo sfruttare la naturale inclinazione all’obbedienza per instaurare sistemi di potere che, partendo da decisioni apparentemente innocue, hanno portato alla perdita di libertà e, in ultima analisi, alla distruzione di intere popolazioni.

Il paradosso risiede proprio in questa “mancanza di coraggio civico”: mentre l’aggressività incontrollata potrebbe sembrare un male evidente, è la capacità di mettere in discussione l’autorità e di agire con discernimento a rappresentare un baluardo contro la tirannia. La storia ci insegna che il conformismo e la riluttanza a opporsi agli ordini ingiusti hanno facilitato la realizzazione di politiche disumane e la perpetrazione di atrocità.

Esperimenti psicologici come quello di Stanley Milgram negli anni '60 hanno dimostrato che la maggioranza delle persone è disposta a infliggere sofferenza a un innocente, purché un'autorità lo ordini. Questo fenomeno, noto come "obbedienza all'autorità", spiega perché in regimi totalitari molti cittadini diventano esecutori senza porsi domande morali.

Ma è davvero inevitabile? La storia ci insegna che esistono anche coloro che si oppongono, che dicono "no" all'oppressione, anche a costo della vita. Uomini e donne che hanno avuto il coraggio di resistere ai dittatori, di mettere in discussione gli ordini ingiusti e di difendere i valori della libertà e della dignità umana.

Oggi, in un mondo che continua a essere segnato da autoritarismi e populismi, il monito è chiaro: il vero pericolo non è solo l'esistenza dei dittatori, ma la nostra predisposizione a obbedire senza pensare. Il compito di ogni individuo libero è quello di coltivare il senso critico, la capacità di analizzare, di mettere in discussione e, se necessario, di resistere. Solo così possiamo evitare che le tragedie del passato si ripetano nel futuro.

Oggi, più che mai, la memoria storica deve servire da monito. La vigilanza e il coraggio di dissentire sono ingredienti essenziali per una società libera e democratica. È necessario educare le nuove generazioni non solo alla conoscenza del passato, ma anche alla consapevolezza critica, affinché possano riconoscere e opporsi a ogni forma di autoritarismo che miri a sopprimere l'individualità e il pensiero autonomo.

Il dibattito resta aperto: in che misura la nostra società è ancora prigioniera di un conformismo che accetta senza domandarsi le ragioni degli ordini provenienti dall’alto? La risposta a questa domanda, purtroppo, potrebbe segnare la differenza tra una democrazia solida e un nuovo regime autoritario.

In definitiva, la storia ci ricorda che la vera forza risiede nella capacità di dire “no” quando l’autorità impone decisioni inumane, e che solo attraverso il coraggio di dissentire si può sperare in un futuro migliore per tutti.

 

3 marzo 2025 - Giuliano Martini Ascalone


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