La spirale delle formiche e quella degli uomini: il cerchio vizioso della modernità

 


La spirale delle formiche e quella degli uomini: il cerchio vizioso della modernità

 

C’è un’immagine che arriva dal mondo degli insetti e che inquieta per la sua potenza simbolica: la “spirale della morte” delle formiche. Piccoli eserciti che, privi di riferimenti esterni, finiscono a marciare in cerchio fino allo sfinimento. Un fenomeno che non riguarda solo la natura, ma che sembra descrivere, con spietata precisione, il destino della nostra società.

Le formiche seguono tracce chimiche; noi seguiamo algoritmi, trend, opinioni dominanti. Cambiano i segnali, non il meccanismo. La ripetizione diventa rassicurante, l’imitazione una forma di sopravvivenza. Ma quando l’intero gruppo perde il contatto con punti di riferimento esterni, la cooperazione si trasforma in trappola. È il conformismo sociale, che la psicologia descrive come la tendenza a rinunciare alla propria autonomia di giudizio pur di aderire al pensiero dominante.

Questa dinamica, se osservata nel nostro presente, assume i contorni di una vera e propria patologia sociale. La rincorsa al consumo infinito, la dipendenza da notifiche e “like”, la ricerca ossessiva di approvazione: sono tutte spirali che ci fanno confondere movimento con progresso. La filosofia contemporanea, da Bauman a Byung-Chul Han, ha messo in luce come la società liquida o la “società della stanchezza” ci stiano intrappolando in cicli senza uscita, dove si corre sempre più veloce restando nello stesso punto.

La spirale delle formiche è un tragico esempio di come un comportamento utile al gruppo possa trasformarsi in un vicolo cieco. In termini psicologici, si potrebbe parlare di pensiero di gruppo (groupthink)*, un processo in cui l’armonia apparente prevale sulla capacità critica, fino a produrre scelte collettive irrazionali. Il risultato è la cecità sociale: nessuno osa interrompere il cerchio, perché nessuno vede alternative.

Nietzsche aveva individuato nell’“eterno ritorno” il simbolo della ripetizione infinita, ma come provocazione metafisica sulla libertà e sul senso della vita. La spirale delle formiche, al contrario, ci offre l’immagine di un ritorno sterile, meccanico, senza possibilità di redenzione. È la metafora di un’esistenza che si consuma senza direzione, schiava di automatismi interiorizzati.

La differenza tra noi e le formiche è la possibilità di coscienza. Fermarsi, interrogarsi, introdurre il dubbio: ecco gli atti che rompono il cerchio. Significa coltivare la diversità di vedute, recuperare lentezza e profondità, rifiutare l’omologazione imposta. In una parola, significa restituire alla cooperazione una dimensione umana, non meccanica.

La spirale delle formiche non è solo curiosità naturale: è una diagnosi della nostra epoca. Ci mostra che il pericolo più grande non è la solitudine, ma la folla cieca; non è l’isolamento, ma il consenso unanime. Camminare insieme ha senso solo se qualcuno ha il coraggio di fermarsi e chiedere: “Dove stiamo andando?”.

 

3 settembre 2025  -  Giuliano Martini Ascalone

 

AFORISMA

Non è il camminare insieme che salva, ma il fermarsi a interrogarsi. La folla cieca è peggiore della solitudine, perché confonde obbedienza con progresso. Solo il dubbio spezza la spirale e ci restituisce un futuro.

 

(*)  https://www.igeacps.it/groupthink-i-rischi-del-pensiero-di-gruppo/

 


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