Poesia, 'Sei metri d’eternità' di Yuleisy Cruz Lezcano


Sei metri d’eternità
(per Pashtrik Krasniqi, 21 anni)

Una scintilla, e il cielo ha piegato il collo.
La piazza tace, sfiata
l’ombra in silenzio.
Sotto la croce del sole,
un nome si dissolve:
Pashtrik, luce straniera
sulla pelle d’Italia.
Sei metri più in alto dell’orologio
del paese, le mani
smontavano il tempo,
trave dopo trave.
Ma un filo nero, nudo, infame
gli ha detto:
«Torna a casa, senza scendere.»
La folgore lo ha vestito d’aurora,
in un abito che la madre non saprà toccare.
Un corpo si fa lampo,
si fa grido nel metallo,
e la voce si rompe in petali.
Villadossola ha pianto,
ma a capo chino, come un padre
che non sa chiedere perdono.
Il ponteggio, costole di una gabbia,
ora è vuoto, e canta col vento
il suo lutto.
Nessun angelo
ha interrotto il circuito.
Nessuna legge
lo ha trattenuto dal volo.
Il casco è rimasto appeso
a un chiodo d’aria,
frutto che la morte non ha colto.
Le mani di Pashtrik
odoravano di calce, di pioggia
e di futuro ancora intonacato.
Il cavo era più rapido del sogno,
più svelto della vita che saliva piano.
Ora, a terra, l’asfalto
conserva il suo nome, inciso
tra le dita di strato
pendono decisioni.
Il cerchio si chiude,
ma non la domanda:
chi protegge chi costruisce il mondo?

"Mi presento: sono Yuleisy Cruz Lezcano, poetessa, scrittrice e attivista. Scrivo con il corpo, con la memoria, con le ferite che non sono solo mie ma collettive. Scrivo per restituire voce a chi non può più parlare, per tendere parole come ponti tra il dolore e il senso, tra la perdita e la giustizia. La poesia che ho scritto per Pashtrik Krasniqi nasce così, da un bisogno profondo di non lasciare che un’altra morte sul lavoro cada nel vuoto. Aveva ventun anni. Era su una piattaforma, a sei metri d’altezza, stava smontando un ponteggio. È bastato un istante, un cavo scoperto, e la folgore lo ha portato via. Una vita spezzata sul lavoro, ancora. Un nome tra i tanti, troppo spesso dimenticati. Pashtrik non può restare una statistica, una riga su un giornale. La poesia per lui è un atto di cura, un gesto che tenta di accompagnare chi resta, una madre, un padre, gli amici, i colleghi, le persone che lo hanno amato. È anche un grido: un modo per dire che non possiamo più voltare lo sguardo. Ogni caduta, ogni folgorazione, ogni cantiere che diventa luogo di morte, è una sconfitta sociale, morale, civile. Per questo ho scritto Sei metri d’eternità. Perché quei sei metri non siano l’ultimo tratto della vita di un ragazzo, ma il primo passo della nostra coscienza verso un cambiamento necessario" (Yuleisy Cruz Lezcano)

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