ILARIA SOLAZZO - Nel mondo moderno, la musica non è mai solo musica. È diventata spesso linguaggio simbolico, costruzione ideologica, veicolo di narrazione culturale. Dietro ogni melodia, ogni "icona", si celano visioni, trasformazioni sociali, modelli antropologici. Approfondendo il ragionamento, possiamo affermare che personaggi come i Beatles e Freddie Mercury non fossero semplicemente artisti ma sintomi e segni del tempo in cui hanno vissuto. Strumenti e interpreti di una rivoluzione culturale che ha ridefinito l’identità dell’Occidente.
In un’epoca in cui la cultura di massa è divenuta il principale utensile per modellare il consenso, la musica assume anche un ruolo politico, perfino quando non se ne accorge. L’industria musicale, le sue star e i suoi miti, ci raccontano molto più di quanto sembri su desideri collettivi, tensioni irrisolte, nuove forme di controllo e trasgressione.
Per questo abbiamo voluto dialogare con Paolo Borgognone, giornalista e autore di testi, esperto di musica e media. Con lui abbiamo affrontato un tema solo apparentemente "leggero": dai Beatles a Freddie Mercury, la musica come chiave di lettura del nostro tempo. Ne è nata una conversazione che unisce arte, cultura e società, pop e "filosofia".
Qui sotto l'intervista a Paolo Borgognone: "I Beatles, Freddie Mercury e il senso della musica nell’Occidente moderno"
D. Paolo, lei è noto per i suoi libri musical/culturali, ma oggi vorrei affrontare con lei un tema ancora attuale e originale. Partiamo dai Beatles. Che lettura dà di questo super fenomeno?
R. I Beatles non sono stati solo un gruppo musicale: sono un’icona culturale che ha incarnato e, in parte, indirizzato le trasformazioni dell’Occidente nel secondo dopoguerra. Hanno rappresentato un momento chiave della transizione da una società tradizionale, individualista a una moderna, più fluida, attenta agli altri, condivisa. La loro musica è stata accompagnata da un messaggio che andava oltre le note: uno stile di vita, un’estetica, una ribellione solo in parte temperata, che non ha inseguito il mercato, ma lo ha piegato alla propria volontà.
D. Secondo lei, quindi, il successo dei Beatles fu anche "ideologico"?
R. Certamente. I Beatles sono stati anche uno strumento della rivoluzione culturale degli anni ’60, quella del messaggio di "pace e amore" a fronte di un mondo che continuava a vivere conflitti e guerre. Infatti, in particolare all’inizio del loro percorso, anche se la musica che proponevano poteva sembrare “facile”, l’accoglienza è stata fredda da parte del "sistema". Questo perché - come successo già a Elvis Presley un decennio prima - davano una voce alla realtà giovanile e dicevano cose a volte scomode.
D. Qualcuno potrebbe dire lo stesso anche di Freddie Mercury e dei Queen. Quali analogie vede tra lui e i Beatles?
R. Ci sono analogie e profonde differenze. Mercury, come i Beatles, ha incarnato lo spirito del suo tempo: in questo caso, un culto maggiore dell’individualismo, della performance, dell’identità eccentrica. Ma Freddie aveva una forza espressiva tragica, teatrale, quasi classica. I Beatles cercavano un’armonia pop tipica dei loro anni, Mercury portava in scena l’ambivalenza dell’essere umano. Era un personaggio che non si poteva ridurre a slogan. Se i Beatles erano stati il volto più sorridente della modernità, pur con le tante contraddizioni, Mercury ne mostrava le falle e metteva tutti di fronte ai propri limiti.
D. E sul piano musicale?
R. I Beatles hanno aperto strade: hanno portato la musica pop verso la psichedelia, la sperimentazione, la complessità armonica. Ma hanno anche inventato stili e linguaggi. Mercury e i Queen hanno spinto quella complessità ancora più in là, fondendo rock, opera, musica barocca e pop commerciale. In entrambi i casi, parliamo di artisti che hanno saputo interpretare la tecnica come mezzo espressivo, e non come fine. I Beatles sono stati un prodotto del loro tempo, nel senso che potevano nascere solo allora, all’alba degli anni Sessanta. Mercury è stato un’anomalia: inclassificabile, ambiguo, oltre i generi.
D. Si può dire che Mercury, in qualche modo, abbia anticipato il postmoderno?
R. In parte almeno, sì. La sua estetica, la fluidità dell’immagine, la teatralità del suo modo di stare sul palco, tutto in lui prefigura l’individualismo liquido, l’assenza di verità stabili tipica del postmoderno. Ma – ed è qui la sua grandezza – lo fa con una profonda consapevolezza artistica, non con superficialità. Quella musica non è mai cinica, mai disincantata: è potente, emotiva, autentica. Anche nel suo eccesso, c’è una sincerità che oggi si è persa.
D. Tornando ai Beatles, cosa pensa della loro evoluzione? Dal beat giovanile di "She Loves You" a un album complesso come "Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band" c’è un abisso…
R. E questo dimostra la loro intelligenza musicale. Ma anche il fatto che siano riusciti ad accompagnare e cavalcare il cambiamento culturale senza mai esserne travolti. Anzi, in un certo senso, erano gli ingegneri del progresso musicale del loro tempo. Mentre Mercury era una mina vagante. È questa, forse, la vera differenza, anche se entrambi - ciascuno con le proprie peculiarità - ha rappresentato una frattura nel tessuto sociale e storico.
D. Nel ’65, giusto sessanta anni fa, i Beatles sono stati in Italia e a questo lei ha dedicato un libro intero. Che senso ha avuto la loro permanenza?
R. I Beatles in Italia sono stati l’esempio pratico di quello che stiamo dicendo. Accolti con calore dai ragazzi, con freddezza e cinismo dal sistema, hanno suonato in tre città, Milano, Genova e Roma. Concerti brevi, quasi dimessi se paragonati a quelli di oggi, ma che hanno lasciato un’impronta fondamentale nel Paese. Dopo di loro sono cresciuti a dismisura i gruppi e gli artisti e sono aumentate le vendite dei dischi ma soprattutto degli strumenti musicali. Non sono venuti solo a esibirsi, hanno portato una ventata di novità, un desiderio di cambiamento che si è radicato e ha prodotto poi risultati importanti anche a lungo termine.
D. Esiste un artista contemporaneo erede di queste due visioni della musica?
R. Il panorama odierno è differente, la temperie culturale cambiata totalmente. Oggi viviamo in un mondo dominato da prodotti algoritmici. Canzoni scritte per durare poco, non per restare. Certi personaggi - mi viene in mente uno come David Bowie, molto vicino a Mercury – oggi non troverebbe spazio nei circuiti dominati dalle piattaforme. Qualche cantautore indipendente riesce ancora a toccare corde profonde, ma - generalizzando - diciamo che la musica, oggi, è merce, non arte. Si sente ma non si ascolta.
D. Ultima domanda: Beatles o Queen?
R. Come chiedere se si preferisce la mamma o il papà. I Beatles sono stati l’epica della giovinezza occidentale e anche della mia. Mercury ha rappresentato, vissuto e incarnato la tragedia dell’individuo postmoderno. Entrambi sono indispensabili per capire chi siamo.
D. Novità?
R. Intanto vi invito a comprare il mio ultimo libro "Tutti per uno - I Beatles in Italia" acquistabile online. E poi, a ottobre, arriverà nelle librerie una sorpresa dedicata proprio ai Queen…
Oltre il suono, l’essere
Forse, più che spiegare il mondo, la grande musica lo rivela. In ogni accordo dei Beatles e in ogni acuto di Freddie Mercury si riflette non solo l’estetica di un’epoca, ma anche il dramma eterno dell’essere umano: cercare sé stesso in un mondo che cambia, senza mai smettere di cantare.