Negli ultimi decenni, la Sanità pubblica italiana ha subito una lenta ma inesorabile erosione delle sue risorse. I tagli, spesso giustificati come necessità per contenere il bilancio statale, hanno portato al collasso di numerosi reparti, liste d’attesa infinite e un crescente malcontento tra operatori sanitari e pazienti.
Ciò che sorprende, però, è la recente attenzione di alcune forze politiche nei confronti del settore sanitario. Gli stessi partiti che, a prescindere dal colore politico, hanno avallato o messo in atto misure di austerità, sembrano oggi riscoprire la necessità di investire nella Sanità. Ma le parole rischiano di suonare vuote agli occhi di chi, quotidianamente, si scontra con le carenze del sistema.
Sanità in sciopero: un grido disperato
Intanto, il settore sanitario è in fermento. Gli operatori, già provati da anni di sacrifici, hanno deciso di alzare la voce. La protesta culmina nello sciopero generale e in una minaccia che suona come un ultimatum: «Senza risposte immediate, procederemo con dimissioni in massa».
Le rivendicazioni spaziano dal miglioramento delle condizioni lavorative all’aumento del personale, passando per il riconoscimento economico adeguato e l’eliminazione di contratti precari. Medici, infermieri e tecnici si trovano spesso a lavorare in condizioni proibitive, con turni massacranti e strutture inadeguate.
La responsabilità politica
Il rimpallo di responsabilità tra i governi che si sono succeduti nel tempo non regge più. Il problema è strutturale e richiede un’azione concreta e coordinata. I fondi stanziati in emergenza durante la pandemia di COVID-19 sembrano ora un lontano ricordo, mentre le strutture continuano a soffrire di una cronica mancanza di risorse.
Questa situazione è aggravata dall’esodo di giovani medici e infermieri verso paesi che offrono salari più alti e condizioni migliori, impoverendo ulteriormente un sistema già fragile.
E le spese militari?
A questo si aggiunge una domanda scomoda: dove finiscono le risorse disponibili? Negli ultimi anni, l’Italia ha stanziato cifre esorbitanti per gli armamenti. Solo nel 2023, il budget per la difesa ha superato i 25 miliardi di euro, un incremento del 30% rispetto agli anni precedenti. Questi fondi, se reindirizzati verso la Sanità, avrebbero potuto risolvere problemi come le liste d’attesa, l’insufficienza di personale e il degrado delle strutture.
È lecito chiedersi: perché si trovano risorse per spese militari e non per garantire i diritti fondamentali dei cittadini?
Il punto di rottura
Se le dimissioni in massa dovessero concretizzarsi, il sistema sanitario pubblico rischierebbe un collasso definitivo. L’Italia potrebbe trasformarsi in un paese in cui la Sanità pubblica diventa un privilegio per pochi, mentre la privatizzazione si insinua come unica alternativa.
La soluzione passa da un cambiamento radicale, non da promesse elettorali o slogan vuoti. È tempo che la politica si assuma la responsabilità di invertire la rotta, con investimenti seri e duraturi.
Conclusione
La Sanità pubblica sta lanciando un SOS, e ignorarlo significa condannare non solo un sistema, ma anche i cittadini che vi fanno affidamento. Meno spese militari e più investimenti per i bisogni reali dei cittadini devono diventare un principio cardine.
La Sanità è un pilastro fondamentale del nostro Paese, un diritto sancito dalla Costituzione. Riconoscerne il valore, però, non basta: servono azioni coraggiose e concrete per riportarla al centro dell’agenda politica, non come un’opportunità di consenso, ma come una priorità per il benessere collettivo.
22 novembre 2024 - Giuliano Martini Ascalone