I passi della follia della Società dei controlli: ma chi controlla i controllori?
Viviamo in un'epoca in cui il controllo pervade
ogni aspetto della nostra esistenza. Dalla sicurezza informatica alla
sorveglianza digitale, dalle telecamere negli spazi pubblici alle verifiche
burocratiche incessanti, ogni nostro passo sembra essere monitorato,
registrato, analizzato. Ma chi controlla i controllori?
la tecnologia penetra ogni aspetto della vita
quotidiana, l’idea stessa di “controllo” ha assunto forme nuove e spesso
inquietanti. Oggi, non si tratta più di istituzioni chiaramente demarcate –
scuole, fabbriche o uffici governativi – ma di una rete capillare di
dispositivi, algoritmi e sistemi di sorveglianza che osservano ogni nostro
gesto, ogni clic, ogni spostamento. E mentre la società sembra abbracciare
questo monitoraggio per garantire sicurezza e ordine, sorge spontanea una
domanda tanto antica quanto urgente: chi controlla i controllori?
Chi vigila su coloro che hanno il potere di
decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è consentito e cosa deve essere
sanzionato?
Le istituzioni giustificano l'aumento del
controllo con la necessità di garantire sicurezza e ordine. Tuttavia, la storia
ci insegna che un eccesso di sorveglianza non porta necessariamente a una
società più sicura, ma piuttosto a un sistema dove i diritti individuali
rischiano di essere erosi in nome della presunta stabilità collettiva. La
tecnologia moderna ha reso possibile un monitoraggio onnipresente: dai social
media alle transazioni finanziarie, dai dispositivi smart alle applicazioni che
tracciano la nostra posizione in tempo reale. Ma chi decide quali dati
raccogliere, come utilizzarli e con quali scopi?
Mentre ai cittadini viene richiesto sempre più
spesso di essere trasparenti nelle loro attività quotidiane, chi gestisce il
potere opera spesso in zone d'ombra. Governi, grandi aziende tecnologiche, enti
di controllo accumulano enormi quantità di informazioni senza fornire risposte
chiare su come vengano utilizzate. I casi di abuso non mancano: scandali legati
alla raccolta e alla vendita di dati personali, decisioni prese sulla base di
algoritmi opachi, manipolazione dell'opinione pubblica tramite l'uso strategico
delle informazioni raccolte.
Il filosofo Michel Foucault parlava del
panopticon1, quella prigione ideale in cui il sorvegliante,
invisibile ma onnipresente, induceva una disciplina interiore nei detenuti.
Oggi, viviamo in una versione digitalizzata e amplificata di quel meccanismo:
le telecamere di sorveglianza, i sistemi di riconoscimento facciale, e gli
algoritmi che tracciano le nostre abitudini online compongono un “panopticon
2.0” che sembra non lasciare scampo.
Ma questa sorveglianza diffusa porta con sé
rischi ben reali. Da un lato, l’inevitabile erosione della privacy individuale;
dall’altro, il pericolo che il potere di controllare e monitorare diventi un
privilegio concentrato in poche mani – quelle di governi, grandi aziende
tecnologiche e istituzioni che, in nome della sicurezza, spesso sfuggono a
controlli esterni efficaci.
L'effetto collaterale più insidioso di questa
iper-sorveglianza è la costruzione di una società fondata sul sospetto
permanente. Ogni cittadino diventa un potenziale soggetto da monitorare, ogni
comportamento anomalo viene segnalato, ogni parola fuori dal coro rischia di
essere censurata. Questo clima soffoca il dibattito pubblico, inibisce la
creatività, frena la libertà di espressione. Se tutti viviamo nella paura di
essere osservati, giudicati e puniti, il risultato è una collettività
paralizzata dalla diffidenza.
L’ossessione per il controllo, lungi dall’essere
una novità, si è intensificata con l’avvento della rivoluzione digitale. Le
tecnologie di raccolta dati, ora impiegate per tutto, dalla pubblicità mirata
alla prevenzione della criminalità, sollevano il problema del “controllo dei
controllori”. In un sistema in cui le regole sono scritte da algoritmi e i
responsabili possono nascondersi dietro scudi burocratici o clausole di
segretezza, la trasparenza diventa una merce rara.
Le recenti polemiche legate alla gestione dei
dati personali e alle pratiche di sorveglianza di massa evidenziano come,
nonostante l’apparente rigore normativo – con regolamenti come il GDPR in
Europa2 – esista ancora un vuoto di responsabilità e di controllo
effettivo sulle istituzioni che, in teoria, dovrebbero tutelare i cittadini.
Nel nuovo scenario, le aziende tecnologiche hanno
assunto un ruolo quasi paritario a quello degli enti statali. Le Big Tech3,
con i loro algoritmi e piattaforme, influenzano non solo il mercato e la
comunicazione, ma anche la formazione di opinioni politiche e sociali. Questo
potere, concentrato e in gran parte incontrollato, solleva interrogativi
cruciali: chi vigila su di loro? Le autorità di regolamentazione spesso
faticano a tenere il passo con l’innovazione tecnologica, lasciando ampi spazi
per abusi e violazioni dei diritti fondamentali.
Parallelamente, le istituzioni governative,
investite di poteri crescenti in nome della sicurezza, talvolta operano nascosti
dietro le quinte, sfuggendo a una supervisione democratica pienamente
funzionale. La mancanza di trasparenza nelle decisioni e la tendenza a
giustificare misure straordinarie in tempi di crisi alimentano il sospetto che
il sistema stesso del controllo sia destinato a diventare incontrollabile.
La sfida oggi consiste nel trovare un equilibrio:
garantire la sicurezza e il benessere collettivo senza sacrificare le libertà
individuali. La domanda “ma chi controlla i controllori?” non è semplicemente
retorica, bensì un invito a riflettere su come strutturare meccanismi di
accountability e trasparenza capaci di monitorare chi detiene il potere.
Tra le possibili risposte, emerge l’importanza di
istituzioni indipendenti, organismi di controllo dotati di strumenti adeguati
per vigilare su governi e imprese. Inoltre, un coinvolgimento attivo della
società civile – attraverso il giornalismo investigativo, le ONG per la difesa
della privacy e il dibattito pubblico – può rappresentare un baluardo contro
l’eccesso di controllo.
Quindi, Il vero problema non è la necessità di
controllare, ma la mancanza di un meccanismo di supervisione indipendente sui
controllori. Se chi detiene il potere di sorveglianza agisce senza alcuna
regolamentazione o bilanciamento, il rischio di derive autoritarie è dietro
l’angolo.
Serve una maggiore consapevolezza collettiva su
questi temi. I cittadini devono essere informati sui loro diritti digitali,
sulla gestione dei dati personali, sulle implicazioni etiche delle nuove
tecnologie di monitoraggio. Le istituzioni dovrebbero garantire trasparenza e
rendere conto delle loro azioni. Senza un controllo democratico sui
controllori, il rischio è che il controllo si trasformi in oppressione e che la
società perda di vista il valore fondamentale della libertà individuale.
Il percorso della “Società dei controlli” è
segnato da passi in avanti tecnologici e innovazioni che promettono efficienza
e sicurezza, ma che al contempo rischiano di trasformare la nostra vita in una
serie infinita di sorveglianze e restrizioni. La sfida del nostro tempo è
quindi duplice: da un lato, sfruttare le opportunità offerte dal progresso
tecnologico; dall’altro, instaurare meccanismi di controllo reciproco che
impediscano al potere di concentrarsi senza limiti.
Solo attraverso un impegno condiviso – che
coinvolga istituzioni, imprese e cittadini – potremo rispondere in modo
concreto a quella domanda che, oggi più che mai, risuona con urgenza: chi
controlla i controllori?
19 febbraio 2025 - Giuliano
Martini Ascalone
1)
“panopticon” o "panottico", Deriva dal
greco "pan" (tutto) e "opticon" (vedere), e si riferisce a
un luogo in cui tutto può essere visto.
2)
GDPR in Europa:
(General Data Protection Regulation) è un regolamento dell'Unione Europea
entrato in vigore il 25 maggio 2018. Ha l'obiettivo di proteggere i dati
personali dei cittadini dell'UE e di garantire la loro privacy.
3)
Il
termine "Big Tech" si riferisce a un gruppo di grandi aziende
tecnologiche che dominano il mercato globale della tecnologia. Queste aziende
sono note per la loro influenza significativa sull'economia, la cultura e la
politica globale. Le principali aziende considerate parte del Big Tech sono:
Apple, Google (Alphabet), Microsoft, Amazon, Facebook (Meta)